mercoledì 25 settembre 2013

Mediatori criminali nei luoghi di lavoro





Una volta realizzato che siamo in guerra, una delle prime cose che è necessario fare è individuare chi realmente comanda il nemico.

Non è affatto semplice perché nella violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali, il burattinaio si nasconde e lascia che agiscano altri. Quindi il nostro collega di lavoro che opera nell’ufficio accanto e che ci contraddice ogni volta che facciamo un’affermazione, potrebbe benissimo essere la persona che più ci irrita, ma anche uno strumento in mano ad altri. Lo stesso principio vale se lavoriamo in un istituto di credito, in un cantiere, in una scuola, in un laboratorio, in una mensa, in una fattoria per la coltivazione, in un ente territoriale della pubblica amministrazione.

Ci sono delle personalità che, per la loro stessa natura, tendono ad operare al di fuori delle regole di civile convivenza. Se possibile è necessario studiare ed analizzare il loro comportamento, perché tutto ciò ci potrebbe permettere di comprendere chi tira realmente i fili della vicenda.

Una di queste personalità da tenere sotto controllo possiamo chiamarla il “Mediatore criminale”.

Il Mediatore criminale sceglie liberamente di operare al di fuori delle regole di civile convivenza. Ne è perfettamente consapevole. Agisce tipicamente per ottenere il massimo vantaggio personale in ogni transazione in cui riesce ad inserirsi. Un comportamento raziocinante finalizzato ad operare interventi di mediazione con la logica del “Io vinco – Tu perdi”, con benefici soprattutto economici che oltrepassano ampiamente le sanzioni cui potrebbe andare eventualmente incontro quando scoperto.

Questo soggetto riesce ad inserirsi in punti vitali delle organizzazioni ed attiva le sue trame portando sulla cattiva strada un numero limitato di figure compiacenti. Infatti, per riuscire nel suo intento, ha necessità che il mandato istituzionale, l’attività professionale, il flusso produttivo si svolgano con apparente regolarità. Lui devia a suo favore una parte delle risorse, quella parte che, in ogni caso, consenta l’apparente svolgimento del lavoro nel suo complesso.

Supponiamo che, ad esempio, in una struttura ospedaliera un reparto abbia necessità di avere un finanziamento di trecentomila euro l’anno per produrre mille prestazioni. Il Mediatore criminale lo porterà gradualmente a rinunciare ad una significativa quota di denaro, quella quota tale da ridurre le prestazioni del solo cinque percento spremendo, contemporaneamente, i propri collaboratori con turni di lavoro impossibili, non sottoponendo regolarmente alla manutenzione le macchine ed altre abnormità simili. Le risorse che lui sfrutta per valorizzare se stesso devono essere sempre a carico di altri.

Ovviamente questa moderna figura di parassita sociale può comportarsi in questo modo se altri soggetti glielo permettono, per questo tende a realizzare alleanze occulte con chi può favorirlo.

Il comportamento del Mediatore criminale è sempre caratterizzato da un esagerato narcisismo.

Alla base delle sue prerogative per le quali viene generalmente scelto, c’è una straordinaria capacità nell’utilizzare la comunicazione per manipolare, sedurre, affascinare i suoi interlocutori. Un esperto in relazioni umane, in realtà non autentiche, capace di assoggettare gli altri con la seduzione professionale o con la paura di una ritorsione. In estrema sintesi questa è la sua unica caratteristica peculiare che può spendere nel mercato del lavoro.

L’attività che viene affidata in genere al Mediatore criminale è quella di manager, di dirigente di una qualche struttura, di un qualche reparto. Questo suo ruolo gli permette di individuare le esigenze inconfessate, i sogni, i desideri, le aspettative dei componenti del gruppo lavorativo, per poi interpretarli, selezionarli, renderli concretamente realizzabili con provvedimenti o decisioni, in modo da generare, al contempo, riconoscenza e timore reverenziale.

Questo soggetto deve essere fornito di capacità per operare tranquillamente in condizioni di illegalità, deve saper convivere con le minacce di sanzioni, deve saper ammantare di apparente legalità le sue malefatte, deve sapersi proteggere e possedere un’ampia conoscenza di persone disponibili a partecipare, coprire, realizzare illeciti. Le capacità per operare tranquillamente in condizioni di illegalità sono apprezzate in modo direttamente proporzionale al numero dei soggetti che, di fatto, partecipano all’illecito.

E’ possibile suddividere queste figure in due grandi insiemi: i Mediatori criminali nascosti ed i Mediatori criminali palesi.

I Mediatori criminali nascosti sono i soggetti che, pur non partecipando direttamente alla vita professionale, sociale o politica, quindi non entrando direttamente nelle transazioni, svolgono comunque efficacemente la loro tipica attività. Condizionano grandemente i contesti lavorativi. Sono quei funzionari che, pur ricoprendo un ruolo specifico ad esempio nelle Università degli Studi, negli Uffici giudiziari, nelle Strutture socio-sanitarie, dedicano in realtà la maggior parte delle loro energie a tutt’altra cosa, in modo assolutamente non evidente.

I Mediatori criminali palesi sono i soggetti che partecipano direttamente alla vita professionale, sociale e politica, condizionandola significativamente.

I soggetti in questione devono avere la capacità di allacciare reti di relazioni, legami di fiducia forti, di indurre reciproci favori, di stabilire obblighi morali, di riconoscere nelle persone soprattutto le motivazioni più recondite, i desideri più nascosti, così da renderli deboli e poter operare la manipolazione subdola. Queste personalità tendono più facilmente di altri ad utilizzare la violenza perpetrata con la strategia delle sistematiche vessazioni, psichiche e morali.